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La politica delle donne – Ada Natali e il dissenso dal Patto Atlantico

Da ieri è un rincorrersi di notizie
sulla bomba di Brindisi. Anche se una persona non avesse la
televisione in casa (aspettando gli “approfondimenti” dei vari
talk show da domani all’infinito) facebook si è riempito all’istante
di foto, parole, pensieri in ricordo di Melissa. Ma soprattutto si è
riempito di parolacce, minacce, associazioni mentali su chi possa
essere stato il colpevole. Serpeggia il bisogno – espresso o
inespresso – di trovare il colpevole, il capro espiatorio che possa
portare via tutte le colpe e nello stesso tempo renderci immuni dal
fatto di essere noi colpevoli. Certo non è mia intenzione scrivere
che siamo tutti e tutte potenzialmente assassini e assassine, ma
quanto male facciamo a chi ci circonda e anche a chi vive più in là
del nostro sguardo quando non privilegiamo la relazione? Quando ci
muovono gli interessi – più o meno giustificati – come possiamo
pensare di creare relazioni sane? Quando solleviamo polemiche –
molto spesso inutili – come possiamo essere sicuri e sicure che
l’energia prodotta non faccia male a qualcuno o a qualcuna?

Proprio per questo motivo, aldilà
delle polemiche che leggo ovunque e che cresceranno in modo
esponenziale – voglio dare il mio contributo con un pensiero tratto
dal primo numero dei quaderni “Storia delle Marche in età
contemporanea” dell’Associazione di Storia Contemporanea
dell’Università di Macerata. Tra i vari saggi mi ha colpito quello
di Eleonora Marsili dedicato alla prima sindaca italiana – ADA
NATALI -.

Ada Natali fece parte anche della prima
legislatura e nella sua attività politica pose il problema della
tutela delle donne che diventavano madri. Ciò che mi interessa
condividere ora è il discorso tenuto il 16 marzo 1949 quando Ada
Natali espresse la propria volontà di votare contro il Patto
Atlantico. Non credeva alle parole del Governo che presentava il
Patto Atlantico con scopi pacifici: lo considerava invece un patto di
guerra che avrebbe sancito l’effettiva liquidazione dell’ONU, unica
organizzazione per la collaborazione internazionale e la
realizzazione della pace nel mondo.

“Signori, in nome delle donne da me
rappresentate, in nome di tutti i bambini, di tutti gli umili e i
semplici, non solo delle Marche ma di tutta Italia, io vi invito a
riflettere su quanto state per fare! Grande è la vostra
responsabilità; ascoltate il monito che a voi sale e da questi
banchi e da tutto il Paese! L’umanità è stanca di dolori e di odio;
non imbrancatevi in guerre fratricide; fate sì che il popolo
italiano tenda la sua mano ai popoli di tutto il mondo, e cooperate
alla felicità degli umili, dando pane, pace e lavoro! Ove questo voi
non facciate, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze a che il
nostro Paese e gli altri paesi, ove si lavoro e si soffre, non siano
nuovamente devastati dalla vostra guerra inutile e criminale”.

Queste parole che oggi potremmo
applicare facilmente all’Unione Europea e a tutti i patti economici
dissodate dall’oscurità in cui stanno riposando possono costituire
una genealogia femminile utile alle donne che decidono di entrare
nelle istituzioni per cambiare questo modello di potere
individualistico e non relazionale che ci vendono come l’unico
possibile e praticabile.
condividimi!

2 commenti

  • Aurora Leigh

    ciao Nella 🙂 grazie per il commento! certo non è così semplice praticare un modello alternativo, soprattutto quando quello in cui viviamo è nello stesso tempo così opprimente ma così diffuso e sostenuto. Però io sono convinta che l'agio è alla nostra portata, se rafforziamo il filo rosso che unisce tutte queste voci nascoste nel tempo e nello spazio 🙂

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