• Chi ha paura delle donne libere?

     

    Giorni fa ho avuto un grosso scontro
    con una mia amica. In poche parole si trattava di decidere se
    coinvolgere o meno in un progetto contro la violenza sulle donne,
    un’associazione che ha un grande impatto mediatico, ma che, a mio
    avviso, fa violenza sulle donne. Perché è inserita nel sistema
    patriarcale che è strutturalmente violento. 
    Si tratta di una questione di principio
    molto importante: non ci si può alleare con chi, anche
    inconsciamente, sta nel sistema per cambiare il sistema in cui
    viviamo! 
    Molto spesso, oltre all’opportunismo,
    in molti casi agisce la mancanza di conoscenza storica. In queste
    settimane sto preparando un intervento per un convegno su donne e
    cinema muto intrecciato con l’archeologia femminista. Inserire nel
    mio sguardo sul mondo che mi circonda nelle mie azioni ciò che leggo
    è fondamentale per riconoscere le dinamiche che stanno alla base
    della nostra società, passaggio fondamentale per poi anche solo
    pensare di osare il cambiamento. E limitare la sofferenza che molto
    spesso ancora troppe donne provano quando decidono di darsi la
    felicità. 
    Proprio per questo motivo voglio
    condividere alcuni dei risultati delle ricerche di Nanno Marinatos,
    archeologa greca, sul passaggio da una società matrifocale,
    incentrata sul femminino, ad una decisamente patriarcale. Prendendo
    per esempio Artemide, Marinatos parla di un’involuzione
    dell’immaginario: Artemide passa da dea selvaggia a dea
    terribile e pericolosa
    . Non solo, le sue caratteristiche di verginità
    e non-maternità vengono intese come negative, poiché narrate come
    anti-maternità. Una donna priva di legami e senza prole diventa un
    mostro assassino divoratore di bambini, diventa un’orchessa, una
    strega. La paura verso ciò che non è controllabile – il femminile
    non procreativo come anticipatore della morte – provoca la
    rappresentazione del mostruoso. Non toccata dagli uomini e senza
    alcuna esperienza di maternità, la femminilità diventa
    pericolosamente potente. Perché biologicamente parlando la donna è
    più forte dell’uomo e se la sua potenza non viene canalizzata
    all’interno di un sistema sociale stabile, come la domesticità e la
    maternità, viene percepita come un eccesso di forza inaccettabile
    che deve essere esorcizzata. L’esorcismo si fonda sull’uccisione
    reale o simbolica della vittima per neutralizzare un pericolo:
    uccidere diventa “cosa buona e giusta” se la vittima è
    mostruosa. E date le parentele tra la donna “anti-materna” e il
    mostro, diventa cosa buona giusta sottomettere la potenza (la
    seduzione?) di un soggetto che si mostra come lo scacco della
    domesticità. Lo schema funzionale-razionale – ovvero il sacrificio
    per ottenere sicurezza – diventa uno schema biologico-narrativo che
    assume connotati culturali e dimostrativi e che nel corso dei secoli
    è diventato “naturale”. 
    Quante violenza, quanta sofferenza
    dovremo ancora provare sulla nostra pelle, noi donne, prima di
    riuscire a svincolarci da tutto ciò? Quanto diventa importante, anzi
    fondamentale, il processo di impoteramento, di recupero delle nostre
    vere caratteristiche naturali, del rapporto con la natura, con la
    vita, per guarire, staccarci da questo sistema che ci vuole deboli,
    sottomesse, schi
    condividimi!