• Tanti auguri Emily

    Oggi è il compleanno di Emily Dickinson.

    Per celebrarla ho scelto di condividere una delle sue poesie che preferisco, in cui veramente abita e agisce la possibilità di pensarci come vogliamo. Forse questa è una delle libertà più importanti di cui disponiamo e – al contempo – una delle libertà che troppo spesso deleghiamo alle altre persone.

    Lo faccio anche come invito a non lasciarsi sempre definire dal denaro – in generale – e in particolare perché negli ultimi giorni le polemiche sul partito del vitalizio e sul maglione di Agnese Renzi mi hanno pensare a quanto è grande il pericolo che il possesso di denaro sia il modo più immediato per definire le persone e autodefinirsi.

    L’Esterno – dall’Interno
    Deriva la sua Grandezza –
    È Duca, o Nano, secondo
    Com’è il carattere centrale –
    Il sottile – invariabile Asse
    Che regola la Ruota –
    Sebbene i Raggi – ruotino – con più evidenza
    E spargano polvere – nel contempo.
    L’Interno – dipinge l’Esterno –
    Il Pennello senza Mano –
    Il suo Quadro espone – preciso –
    Così com’è il Marchio interiore –
    Sulla sottile – Tela delle Arterie –
    Una Guancia – magari un Ciglio –
    L’intero segreto della Stella – nel Lago –

    Gli occhi non erano destinati a conoscere.

    Anche se fanno di tutto per farcelo scordare, ricordiamoci sempre che noi abitiamo le possibilità

     

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  • Io non sto a guardare

    Questo post l’ho voluto intitolare come il libro da cui ho tratto la citazione che vi scriverò più sotto.

    Io non sto a guardare

    E aggiungo io Omaggio a Velia Sacchi e al suo Coraggio Oltraggioso – oltraggioso per la società che la voleva madre e moglie borghese. 
    Nel meraviglioso libro – autobiografia curato da Rosangela Pesenti è presente questo pensiero che voglio condividere con voi e che ha radicato profondamente le mie convinzioni di voto del referendum del 4 dicembre e il

    modo in cui vedo/vedrò le decisioni di gruppi più o meno allargati.

    Velia scrive 
    Il mio errore più grande fra i tanti che costellano una lunga esistenza, fu quello di credere che per affermare la Libertà e la Giustizia, di cui sentivo da sempre un famelico bisogno, fosse possibile prendere la strada più corta: quella dell’Autoritarismo. Se noi, che vogliamo il meglio per l’umanità, mi dicevo, saremo forti e lo imporremo agli altri, sarà un guadagno per tutti. Non mi rendevo conto, e per trent’anni non capii, tranne qualche sospetto, che la strada che sembrava una scorciatoia portava dritto da un’altra parte, proprio dalla parte opposto alla Libertà di cui, assieme a molti altri, sentivo un così acuto bisogno.


    L’autoritarismo non è mai la strada. Ci vorrà più tempo, certo. Ma Libertà e Giustizia sono vere se sono spontanee non imposte. Altrimenti per quanto nobili possano essere i sentimenti che le animano rimangono non solo parole vuote, ma anche e soprattutto controproducenti. 
    Non c’è Libertà se è imposta.
    Non c’è Giustizia se decido io quale è la giustizia. 

    Grazie Velia per questo e altri pensieri e sopratutto per aver provato a vivere una vita vera aldilà degli stereotipi con cui volevano leggere e agire sulle tue esperienze!!!   
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  • Bambole e soldatini

    Ieri un mio amico di facebook ha condiviso questa filastrocca di Gianni Rodari

    Semplice.
    Dovrebbe essere altrettanto efficace.

    Mi stupisco sempre quando nel periodo natalizio si fanno una serie di articoli sui giocattoli “di genere”.
    Perché alle bambine si regalano bambolotti che le educano a fare le madri?
    Perché alle bambine si regalano cucine che le educano a fare le casalinghe?
    Perché alle bambine si regalano Barbie e altre bambole che impongono loro un modello di bellezza?

    Tutto condivisibile, perché imporre a qualcuno un modello è oppressione.

    Ma con i bambini a cui si regalano caterve di soldatini come la mettiamo?
    Non pensiamo davvero che le guerre fatte per gioco creino in loro un’attitudine alla guerra (reale o simbolica) una volta diventati adulti?

    E allora la soluzione sarebbe che anche le bimbe giocassero ai soldatini, correndo il rischio di diventare virili, ma comunque contribuendo al sostegno di questa visione coloniale della vita?

    Domina o sarai dominato?

    A mio avviso vedo molte più implicazioni negative nell’educare alla guerra piuttosto che alla maternità.

    Come ci ricorda Hannah Arendt “libertà non significa rendersi massimamente indipendente da tutto e da tutti, bensì che le creature possano partecipare al gioco del mondo con nuove pratiche, poiché con la loro nascita si è dato inizio a qualcosa si nuovo”.

    Forse la percezione di sé a partire dalla nascita, con una valorizzazione simbolica e reale della maternità e del nascere in relazione, potrebbe indurci a uno scambio incentrato sulla natività e sulla vitalità che ci accomuna.

    Uno scambio capace di esaltare ciò che ci unisce e non quello che separa e che appunto perché separa è in grado di attivare guerre e relative giustificazioni.

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  • XII Non Tradirsi

    Visto che qualche tempo fa avevo scritto il post XI Non attendere questo nuovo post, proprio perché va nella stessa direzione, ha il numero seguente, il XII.

    Ieri ho avuto la mia prima conversazione accademica in francese: lettura critica del testo di Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé (Une chambre à soi) e condivisione sulla base di ciò che viene detto in questo libro di una mia ricerca di qualche anno fa per un convegno su donne e cinema muto in Inghilterra.

    Ciò che voglio condividere ora con voi è la sensazione di poter portare le nostre ricerche, il nostro pensiero in ogni contesto anche se ci può essere una difficoltà di comunicazione derivata dalla differenza linguistica (e dalla differenza che l’uso di una lingua piuttosto che di un’altra esercita sul nostro pensiero).

    Al posto di preoccuparsi delle differenze linguistiche, dovremmo preoccuparci di un altro aspetto fondamentale nel nostro stare e agire nel mondo: il non tradirsi. Come scriveva giustamente Virginia Woolf “sottomettersi ai decreti dei misuratori è il più servile degli atteggiamenti. Finché desiderate, scrivete ciò che desiderate scrivere questo è tutto ciò che conta. Ma sacrificare un capello della testa della vostra visione, una sfumatura del suo colore, per riguardo a qualche rettore con un vaso d’argento in mano, o a qualche professore con un metro nascosto nella manica, è il più vile tradimento.

    Quindi portate avanti le vostre ricerche, i vostri pensieri, i vostri desideri anche se sembrano non essere sostenuti, siate coerenti con voi e qualcosa succederà fuori e dentro di voi! E soprattutto non abbiate paura di condividerli col mondo intero, c’è sempre un modo per far passare le nostre idee e, trovarlo, aiuta a raffinare ciò che stiamo dicendo e, a volte, a migliorarlo!

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  • Une chambre à soi, encore!

    Ieri è stato l’anniversario dell’uscita della prima edizione di Una camera tutta per sé di Virginia Woolf 



    Da allora è passato tanto tempo, ma cosa è *veramente* cambiato per le donne che scrivono romanzi? Davvero le donne oggi hanno la possibilità di scrivere e di mantenersi scrivendo? Sicuramente per alcune donne si può dire che hanno a disposizione quel po’ di soldi e quella camera tutta per sé, condizioni indispensabile per scrivere secondo Virginia Woolf.

    Ma tutte le altre?

    Come ci ricorda Virginia, infatti, il talento non si concentra solo in chi dispone di canali per poter arrivare a una pubblicazione, ma si può trovare in chiunque. Quindi dobbiamo trovare nuove vie per far ascoltare la nostra voce e non piegarci a quel riflusso di patriarcato che vuole sottomettere la nostra genialità a regole che ci opprimono.

    “L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo di scoperta di sé da parte della donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna ai più alti livelli” scriveva Carla Lonzi negli anni Settanta.

    Porre l’uguaglianza come obiettivo significa assumere una prospettiva limitata e limitante, ma dobbiamo continuare a rivendicare il nostro stare nel mondo e il nostro starci come piace a noi!

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  • Le vie infinite della libertà

    Per chi fa ricerca come me è abbastanza pericoloso perdersi nella teoria dimenticando la pratica. 
    La pratica per me è la vita, perché ogni teoria viene prima o poi provata, consciamente o inconsciamente. E se è valida la teniamo, se non è valida la buttiamo. E magari ne sperimentiamo un’altra! Tuttavia molte persone rischiano di percepire come naturale ciò che è culturalmente costruito. Ma, appunto, essendo l’unica modalità conosciuta viene pensata e vissuta come l’unica possibile. Questa però è un’altra storia di cui parlerò in un altro post.

    In questo post vorrei parlare di uno dei problemi della divergenza tra teoria e pratica sulla pelle delle donne! Molte donne che conosco e che hanno fanno parte del movimento neo-femminista degli anni 70 scrivono, dicono le peggio cose sul lavoro familiare. Addirittura ora gli uomini studiano la disuguaglianza delle coppie (sposate o conviventi) rispetto al lavoro familiare. E via con le stigmatizzazioni, le ricerche, le percentuali che fanno riflettere sulle nostre scelte e tentano anche di indirizzarle. Io non sono convinta infatti che questi studi si limitino a registrare i dati, ma indirizzano non tanto le politiche quanto chi legge i libri e poi cerca di cambiare gli equilibri della propria coppia o delle sue amiche …  Se sei una donna emancipata o fai tutto da sola sentendosi una wonderwoman, o ti rifiuti di fare i lavori di casa o paghi un’altra donna meno emancipata di te che ti sostituisca all’ultimo gradino della scala sociale. 


    Ecco questo è il punto: la scala sociale! Ossia il lavoro domestico non è riconosciuto – non è nemmeno nel Pil – quindi non dobbiamo riconoscerlo. “Studia così non farai la casalinga!” – “Studia così potrai permetterti qualcuno che faccia le faccende di casa al posto tuo” 


    Poi però la vita ti mostra che tante teorie poco servono! Ieri un’amica di mia mamma ha chiesto a mia zia di aiutarla nei lavori di casa. Si mettono d’accordo senza intercessione dei mariti o di altri uomini, sviluppano una solidarietà tra donne (contro tutte quelle idee che le donne non possono essere amiche) e quindi agiscono la propria libertà! E allora al diavolo tutte le teorie, tutte le ricerche e tutti i dati! La vita è ben altro. Io ho adorato questo momento e l’ho voluto condividere con voi, perché se veramente noi donne (e uomini) vogliamo liberarci dagli stereotipi uniamo teoria e pratica e buttiamo via le teorie inutili! La libertà che si agisce nella vita vera è molto, molto migliore di quella agita nei libri. 

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  • Questioni di peso

    Dopo la parentesi australiana mi sto ributtando negli eventi torinesi.
    Ieri sera presentazione del libro di Gian Enrico Rusconi, Marlene e Leni. Seduzione, cinema e politica, Feltrinelli 2013. Tralascio di provare a chiedermi e a rispondermi perché un professore emerito, politologo e storico arrivato a una certa età e con aria da guascone si metta a scrivere un libro di cinema perché lui non scrive di cinema, scrive un libro su due donne che in un qualche modo sono anche nel suo immaginario e non solo in quello delle Repubblica di Weimar.
    Rusconi fin dall’inizio ammette di parteggiare per Marlene (Dietrich) e lo si capisce bene perché le dedica quasi tutto l’intervento. A Leni rimangono le briciole. A noi (io e mie due amiche) che pazientemente lo ascoltiamo neanche quelle.

    Tuttavia, e direi per fortuna, mentre lui parla ecco la prima illuminazione della serata: la maggior parte delle donne che conosco quando parla in pubblico è agitata, emozionata, si prepara come se il giudizio del pubblico la spedisse direttamente all’inferno o in paradiso. Gli uomini no. Alcuni di loro riescono a far passare in queste presentazioni un misto di supponenza e arroganza da Superuomo. Lo si sente nel tono della voce, lo si percepisce nella comunicazione verbale e non verbale.

    C’è da ragionare su questa suggestione. Le donne ora possono parlare in pubblico ma come ci stiamo davanti a una platea? riusciamo a sostenere un dibattito?

    La seconda illuminazione tratta proprio di questo. Non in generale, ma di come io riesco a sostenere un dibattito. Alla discussione sul libro partecipa anche un professore di cinema dell’Università di Torino, non è un vero e proprio dibattito, perché ognuno ha la sua parte. Chi introduce, l’autore e il professore. Il professore a un certo punto dice che nel cinema americano non ci sono donne produttrici fino agli anni Quaranta. Sobbalzo sulla sedia. Ma come? Partecipo a convegni internazionali che mirano proprio a togliere dall’oblio queste donne e ora lui me le ricaccia con una superbia irritante? Sì perché l’incipit alla segnalazione della mancanza di donne è questo “le mie colleghe femministe si arrabbiano quando dico che non ci sono produttrici, ma è così, non sono io maschilista lo è l’industria del cinema” … Un piccolo pensiero a Jessica Rabbit “Io non sono cattiva, è che mi disegnano così”.

    Visto che non c’è spazio per il dibattito, decido di fare le mie osservazioni fuori. Apriti o cielo. Innanzitutto mi urla contro. Ma casomai sono ignorante, non sorda. Poi la butta sul peso. Non ci sono donne di peso nella storia del cinema americano. Nessuna donna ha prodotto “Via col vento”. Poi la sfida: “se riesci a trovarmi una donna così ti stacco un assegno”.

    E la conversazione va avanti per un quarto d’ora. Il tasto su cui lui batte è che le donne non hanno peso storicamente né nel cinema né nelle altre arti. Inutili le ricerche che ne riscoprono i profili, perché tanto non cambiano la narrazione.

    Stamattina ecco l’illuminazione che ha il sapore del paradosso: come si può chiedere alle donne di avere peso simbolico, se nel contempo si offre loro un immaginario vincente di magrezza sul piano fisico?!?! Quanto il peso simbolico è legato a quello fisico? Ci può essere un conflitto tra questi due pesi? E se ci liberassimo dell’ossessione del peso e della magrezza potremmo acquistare maggior peso sul piano simbolico?

    Ma poi veramente lui pensa di essere pulito? Pensa davvero che nella sua posizione di potere non può contribuire al cambiamento della narrazione del cinema? Se l’industria coeva ha escluso queste donne dal mercato perché lui le deve ricacciare nell’oblio? E poi chi lo dice che queste donne volevano produrre kolossal? Solo una mente patriarcale e capitalista, che crede a una produzione neutrae a una linea di progresso evolutiva lineare dove le donne “finalmente” stanno acquisendo pari diritti e pari opportunità e quindi possono combattere ad armi pari con gli uomini nel mercato (cinematografico).

    Difficilmente si pensa che magari molte donne non hanno voglia di combattere e preferiscono fare altro. E ne godono di più. Come al solito è una questione di desiderio e di libertà.

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  • Vagabonding

    Tra un paio di giorni parto per l’Australia.
    La scusa del viaggio è un convegno di cinema.
    La vera motivazione è mettermi alla prova … viaggiare da sola in un contesto completamente sconosciuto.

    Qualche anno fa ho comprato, su consiglio di una preziosa amica, un libro altrettanto prezioso
    Vagabonding. L’arte di girare il mondo di Rolf Potts (Edizioni Ponte alle Grazie).

    Ed ora eccomi qui a pensare al mio viaggio. Un mese di quasi totale libertà. Quasi perché al giorno d’oggi è veramente difficile pensare di uscire dal reticolo tecnologico che ci circonda.

    Però saranno giorni da inventare, quelli dopo il convegno.
    Disporrò di una libertà che apre e che intimorisce allo stesso tempo perché non si è più abituati.

    Così per darmi un po’ di coraggio e per condividere questa esperienza, ho pensato di inserire alcune citazioni dal libro.

    Se avete costruito castelli in aria,
    il vostro lavoro non sarà sprecato:
    è quello il posto in cui devono stare.
    E adesso metteteci sotto delle fondamenta.
    Henry David Thoreau, Walden
    Il vagabonding non è soltanto un rituale che include vaccinazioni e valigie da fare, ma è piuttosto la pratica costante della ricerca e dell’apprendimento, dell’affrontare paure e modificare abitudini, del coltivare un nuovo incanto per popoli e luoghi. 



    Viaggiare è il modo migliore
    per salvare l’umanità dei luoghi,
    preservandoli dall’astrazione
    e dall’ideologia.
    Pico Iyer, Why we travel



    Il vagabonding è come un pellegrinaggio senza meta: non è una ricerca di risposte, bensì una celebrazione dell’interrogare, un abbraccio all’ambiguo e un’apertura verso tutto ciò che incrocia il nostro cammino.
     

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  • Osare la libertà… [anche attraverso la ricerca]

    Fare ricerca per me significa approdare in spazi e tempi sconosciuti. 
    Rivedere ciò che credevo naturale e avere la consapevolezza che c’è stato un preciso momento in cui è stato pensato e costruito culturalmente e che solo l’abitudine e il tempo ce lo fanno percepire come archetipico. 
    Osare cambiare il mondo che mi circonda.
    Osare realizzare i miei desideri.
    Combattere le mie paure. 
    Vivere. 

    Per la ricerca che sto seguendo in questo momento, un misto di cinema muto italiano, storia delle donne e archeomitologia femminista, sto leggendo molto materiale sullo sciamanesimo femminile. 

    Ho trovato queste due poesie che sono un tuffo nella libertà    



    Io sono aria
    e l’aria non la puoi richiudere.
    Io sono acqua
    e l’acqua non la puoi contenere.
    Io sono fuoco
    e il fuoco non lo puoi controllare.
    Io sono terra
    e la terra non la puoi imbrigliare.
    Io sono spirito
    e lo spirito non lo puoi domare.
    Io sono figlia della Madre
    aria, acqua, fuoco, terra e spirito,
    impastati nel suo grembo
    e cullata sul suo cuore pulsante.
    Vedi?
    La sua scintilla divina
    brilla in fondo ai miei occhi,
    per quanto spenti essi siano,
    pulsa nel mio cuore
    per quanto triste esso sia.
    E per quanto stanca, ferita,
    umiliata e sconfitta io possa essere,
    da Lei ricomincerò a brillare,
    ed in Lei riprenderò a vivere.

    Petra



    Il cerchio ha il potere di guarigione.
    Nel cerchio, siamo tutti uguali.
    Nel cerchio, nessuno è davanti a voi.
    Nessuno è dietro di voi.
    Nessuno è di sopra di voi.
    Nessuno è di sotto di voi.

    Il cerchio sacro è progettato per creare unità.
    Il cerchio della vita è anche un cerchio.
    In questo cerchio c’è posto per ogni specie, ogni razza, ogni albero e ogni pianta.
    E ‘questa la completezza della vita che deve essere rispettata perchè
    sia ripristinata la salute e il benessere del nostro pianeta.

    Dave Chief, Oglala Lakota

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  • Chi ha paura delle donne libere?

     

    Giorni fa ho avuto un grosso scontro
    con una mia amica. In poche parole si trattava di decidere se
    coinvolgere o meno in un progetto contro la violenza sulle donne,
    un’associazione che ha un grande impatto mediatico, ma che, a mio
    avviso, fa violenza sulle donne. Perché è inserita nel sistema
    patriarcale che è strutturalmente violento. 
    Si tratta di una questione di principio
    molto importante: non ci si può alleare con chi, anche
    inconsciamente, sta nel sistema per cambiare il sistema in cui
    viviamo! 
    Molto spesso, oltre all’opportunismo,
    in molti casi agisce la mancanza di conoscenza storica. In queste
    settimane sto preparando un intervento per un convegno su donne e
    cinema muto intrecciato con l’archeologia femminista. Inserire nel
    mio sguardo sul mondo che mi circonda nelle mie azioni ciò che leggo
    è fondamentale per riconoscere le dinamiche che stanno alla base
    della nostra società, passaggio fondamentale per poi anche solo
    pensare di osare il cambiamento. E limitare la sofferenza che molto
    spesso ancora troppe donne provano quando decidono di darsi la
    felicità. 
    Proprio per questo motivo voglio
    condividere alcuni dei risultati delle ricerche di Nanno Marinatos,
    archeologa greca, sul passaggio da una società matrifocale,
    incentrata sul femminino, ad una decisamente patriarcale. Prendendo
    per esempio Artemide, Marinatos parla di un’involuzione
    dell’immaginario: Artemide passa da dea selvaggia a dea
    terribile e pericolosa
    . Non solo, le sue caratteristiche di verginità
    e non-maternità vengono intese come negative, poiché narrate come
    anti-maternità. Una donna priva di legami e senza prole diventa un
    mostro assassino divoratore di bambini, diventa un’orchessa, una
    strega. La paura verso ciò che non è controllabile – il femminile
    non procreativo come anticipatore della morte – provoca la
    rappresentazione del mostruoso. Non toccata dagli uomini e senza
    alcuna esperienza di maternità, la femminilità diventa
    pericolosamente potente. Perché biologicamente parlando la donna è
    più forte dell’uomo e se la sua potenza non viene canalizzata
    all’interno di un sistema sociale stabile, come la domesticità e la
    maternità, viene percepita come un eccesso di forza inaccettabile
    che deve essere esorcizzata. L’esorcismo si fonda sull’uccisione
    reale o simbolica della vittima per neutralizzare un pericolo:
    uccidere diventa “cosa buona e giusta” se la vittima è
    mostruosa. E date le parentele tra la donna “anti-materna” e il
    mostro, diventa cosa buona giusta sottomettere la potenza (la
    seduzione?) di un soggetto che si mostra come lo scacco della
    domesticità. Lo schema funzionale-razionale – ovvero il sacrificio
    per ottenere sicurezza – diventa uno schema biologico-narrativo che
    assume connotati culturali e dimostrativi e che nel corso dei secoli
    è diventato “naturale”. 
    Quante violenza, quanta sofferenza
    dovremo ancora provare sulla nostra pelle, noi donne, prima di
    riuscire a svincolarci da tutto ciò? Quanto diventa importante, anzi
    fondamentale, il processo di impoteramento, di recupero delle nostre
    vere caratteristiche naturali, del rapporto con la natura, con la
    vita, per guarire, staccarci da questo sistema che ci vuole deboli,
    sottomesse, schi
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