• Surrealismo è Magia

    Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di visitare la mostra Surrealismo e magia. La modernità incantata presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Si tratta della prima mostra internazionale ad affrontare l’interesse del movimento surrealista per la magia, l’esoterismo, la mitologia e l’occulto. Tra i quadri esposti molti sono di artiste surrealiste o vicine al movimento surrealista: Leonora Carrington, Leonor Fini, Dorothea Tanning, Remedios Varo, Kay Sage e Maya Deren.

    Il movimento surrealista rappresenta una delle avanguardie artistiche più interessanti del Novecento, caratterizzati da una ribellione al culto della ragione e della razionalità e un’ispirazione cercata e trovata invece nella magia, nell’alchimia, nell’inconscio e nell’occultismo. Occultismo è un termine che deriva da occulto / nascosto e quindi per le artiste vale ancora di più poiché anche oggi la storia delle donne in generale e la storia delle donne nell’arte sono occultate ossia nascoste.

    In questa mostra quindi oltre a vedere decine di opere create da donne possiamo trovare un approfondimento della loro ricerca artistica e dei legami che hanno avuto con altri artisti surrealisti, molto spesso loro compagni. Ma sarebbe riduttivo leggere queste artiste esclusivamente come Muse, come ha fatto molta della critica maschile per tanto tempo. Come ha scritto Leonora Carrington: “Non avevo tempo di essere la musa di nessuno… Ero troppo occupata a ribellarmi alla mia famiglia e imparare a essere un’artista.”

    Leonora Carrington, Remedios Varo e Leonor Fini sono sicuramente artiste capaci di esprimere nelle opere qui esposte una ricerca personale sia come artiste che come donne. Legandosi al mito, alle leggende e alle Antenate. E capaci così di creare un mondo matriarcale.

    In particolare mi voglio soffermare su alcune opere, iniziando dalle Sfingi di Leonor Fini. Nella mostra sono presenti diverse opere incentrate sulle Sfingi: La pastorella delle Sfingi, La Sfinge Regina, Divinità Ctonia che spia il sogno di un giovane. L’Iconografia utilizzata da Leonor Fini recupera per la Sfinge una prospettiva femminile/femminista, affidandole il ruolo di guardiana della vita e protettrice, forza della natura e forza erotica. Si tratta del recupero di una visione matriarcale sia del mito che dell’universo tanto da farle affermare “questo non è il segno di una femminilità dominante, ma di un’adesione a un culto antico”.

    La Pastorella delle Sfingi (1941)
    Sphinx Regina (1943)
    Divinità ctonia che spia il sogno di un giovane (1946)
    Strige Amaouri (1947)

    Un’altra opera che mi ha colpita molto è La cucina aromatica di nonna Moorhead di Leonora Carrington. In questo quadro ambientato in una cucina messicana, luogo alchemico per eccellenza dove si prepara e cucina il cibo, l’artista mescola sapientemente in un procedimento magico, simboli messicani come il comal, la grande piastra metallica, e simboli celtici, l’oca gigante, all’interno di un cerchio magico con scritte in gaelico. La cucina inoltre è un luogo prettamente femminile e in questo caso matriarcale perché è la Signora della Cucina è Moorhead, la nonna materna irlandese di Leonora Carrington, che le aveva confidato di discendere dal popolo fatato, mistico e matriarcale degli Shide.

    La cucina aromatica
    di nonna Moorhead (1975)

    E sempre in un ambiente domestico è ambientato anche il quadro Nutrimento Celeste di Remedios Varo . In questo caso la protagonista è una donna bionda che macina materia stellare per nutrire una falce di luna in una gabbia. Da una parte Remedios Varo denuncia l’isolamento delle donne confinate nella sfera domestica, ma attraverso il rito del nutrimento questa donna si lega al cosmo, fonte mistica di sostentamento.

    Nutrimento Celeste (1958)
    Nutrimento Celeste, Particolare

    Voglio soffermarmi anche su un’ultima opera, Lo specchio di Dorothea Tanning. In questo quadro l’artista affronta i temi dell’autodefinizione e del legame delle donne con la natura. La donna infatti è rappresentata da un girasole antropomorfo che tiene in mano uno specchio per rimirare il proprio riflesso. Ma il riflesso rimane nascosto. Come se l’artista stessa volesse eludere l’oggettivizzazione della donna da parte non solo di molti surrealisti ma di tantissimi artisti in generale.

    Lo Specchio (1950)

    Questo quadro mi ha fatto venire in mente quel passaggio di Una stanza tutta per sé nella quale Virginia Woolf parla del ruolo di specchi che gli uomini hanno creato spesso per le donne: “Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni reali. È questa la ragione per la quale sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sulla inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire.”

    Ecco queste artiste surrealiste ci insegnano a non essere specchi, ma a cercare le interconnessioni con la nostra genealogia incarnata e simbolica, mettendo in discussione non solo nei quadri gli stereotipi dei ruoli di genere che ancora oggi la nostra società cerca di imporci.

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  • Come sono diventata femminista

    Qualche settimana fa ho letto un libro davvero interessante e che consiglio: Come sono diventata femminista, di Rosangela Pesenti.

    La protagonista del libro è nata in un piccolo paese della pianura padana in provincia di Bergamo. Grazie alla laurea in Magistero all’Università Cattolica di Milano è passata da maestra elementare a professoressa delle scuole medie. A settant’anni e dopo l’esperienza di un tumore al seno ha deciso di andare a vivere al mare per creare una distanza fisica ed emotiva con il proprio passato. Una distanza più pensata e sperata che praticata visto che si è portata una valigia piena di quaderni e diari in cui ha annotato eventi e pensieri della propria vita.

    Un lunedì mattina la protagonista viene svegliata da una telefonata di Valentina. Valentina è sua nipote, figlia della figlia della sorella, e vuole scrivere insieme alla ziona (così la chiama lei) la storia della loro famiglia, del Sessantotto, del femminismo e dell’UDI. Valentina vuole conoscere la storia ma anche la controstoria, ciò che ha portato a dire che la generazione degli anni Novanta è la generazione di chi ha perso i propri diritti. La zia dapprima non vorrebbe, poi nei giorni che passano dalla chiamata, il lunedì, all’arrivo, la domenica successiva, le attività quotidiane sono inframmezzate dai racconti di vita narrati in un flusso di coscienza che ci ricorda le opere di Virginia Woolf. Mentre sistema la propria casa per accogliere la nipote, la protagonista cerca di sistemare i propri ricordi, dare loro un’interpretazione e in un certo senso prepararsi all’incontro con Valentina.

    Come sono diventata femminista è un libro strutturato in sette giorni, proprio come, nella tradizione cristiana, dio ha creato il mondo. O meglio sei giorni di lavorio di pensieri e attivismo delle mani e uno di riposo nell’attesa dell’arrivo di Valentina. Come scrive l’autrice è il racconto di storie alla periferia della Storia, ma proprio per questo più vicine a noi che leggiamo. Sono storie di famiglia in cui ci possiamo immedesimare (la scelta se studiare o no, la scelta rispetto al lavoro, le scelte rispetto alle amicizie e alle relazioni amorose, le scelte politiche). E la scelta più importante quella di diventare femminista. Ma che cos’è il femminismo per la ziona? Nel racconto di Rosangela Pesenti io vedo un femminismo che nasce in due tempi: il primo, più immediato, è rappresentato dalla citazione di riferimenti di letture e biografie femministe, Rosa Luxemburg, Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Carla Lonzi, Teresa Noce, Joyce Lussu, Carla Ravaioli, Bianca Guidetti Serra, Lidia Menapace, Simone Weil, Christa Wolf e l’amica Marisa compagna femminista morta a cinquant’anni di tumore; il secondo è un femminismo agito sul lungo periodo: essere femminista per la protagonista non vuol dire aderire a un partito o a un’ideologia, ma rappresenta un modo di esistere come donna. Con dignità, autonomia e onestà. Ecco perché questo femminismo è un femminismo della quotidianità, un percorso femminista creato e agito nelle scelte e negli atti quotidiani.

    Il lavoro di scrittura di Rosangela Pesenti replica ciò che da sempre è un’attività delle donne: salvare vite, riparare i viventi. È ciò che fa anche la protagonista del libro salvando dall’oblio le vite dei famigliari, le loro scelte, i loro oggetti con particolare attenzione alle donne, perché sa che le donne senza memoria del passato sono donne senza memoria di loro stesse. Eppure sono tante, più di quanto pensiamo, le donne che hanno lottato per i nostri diritti, che ci hanno fatto ottenere condizioni di vita concrete perché le generazioni più recenti potessero avere la libertà di studiare, avere un contratto di lavoro certo, anche filosofeggiare.

    Rosangela Pesenti

    Queste pagine ci aiutano a ri-vedere la nostra storia, la storia delle donne delle nostre famiglie e la storia delle donne in generale chiedendosi e chiedendoci quanta storia sia passata nei silenzi e nei lavori femminili. Ma ci dà anche una ricetta pratica – come molto spesso sono le donne – per applicare questo femminismo alla nostra vita “fai ogni giorno una cosa per te, una cosa per una donna che ti è vicina e una cosa per il tuo genere”.

    Per approfondire con altre recensioni su Come sono diventata femminista leggi qui.

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