• Linda Nochlin arte e femminismo


    Ieri è morta Linda Nochlin l’autrice del saggio Perché non ci sono state grandi artiste? (1971 !!!!!!!)

    Perché questo saggio è/è stato così importante? 



    Linda Nochlin dimostra nel suo saggio come per secoli le strutture istituzionali e sociali hanno reso impossibile per le donne raggiungere l’eccellenza artistica o il successo sullo stesso piano degli uomini, indipendentemente dalla potenza del loro talento o della loro genialità.


    Altro punto fondamentale: Linda Nochlin interroga come la “grandezza” stessa sia stata formulata e valutata sul punto di vista maschile bianco occidentale, inconsapevolmente accettato come punto di vista dello storico dell’arte. 



    E’ grazie a questo sguardo femminista e libertario che noi oggi possiamo ricostruire la genealogia con le artiste e decostruire ciò che viene ancora riconosciuto come “maestro”, “grande artista”, “genio” 

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  • un’iniezione di autostima

    Oggi ho avuto una profonda illuminazione e consapevolezza su di me e sul mio lavoro e voglio condividerla prima che sia sommersa da altri pensieri e da altre parole.
    In questo periodo sto portando avanti una ricerca che cerca di mediare tra archivi audiovisivi tout court, archivi di enti e associazioni che non sanno da che parte girarsi per il trattamento degli audiovisivi e percorsi di genere che pare siano portati avanti solo dalle femministe o aspiranti tali (lasciamo perdere la polemica #ho bisogno del femminismo perché, #non ho bisogno del femminismo perché).
    Da brava ricercatrice e anche perché tra poco tutte le biblioteche e gli archivi chiudono per ferie e io sono maledettamente in ritardo, ho passato tutta la giornata (piovosa) a consultare libri che parlano di archivi audiovisivi.

    Scopro di certo l’acqua calda se affermo che ogni libro ha un corredo bibliografico che apre ad altre diecimila possibili vie e che ogni ricerca è potenzialmente infinita.

    Infatti non voglio scrivere questo, ma capovolgere o almeno tentare di capovolgere la paura con cui di solito si scrivono libri e la conseguente ricerca dell’argomento limitato e specialistico su cui nessuno ha scritto mai (pena tuttavia la paura dell’esclusione dal circolo degli intellettuali) o semplicemente specialistico in modo da limitare i danni perché tanto nessuno ne sa (e qui corre un piccolo accenno a Umberto Eco e al suo libro su come si scrive una tesi di laurea).

    Ciò che voglio dire è questo: non cercate il vostro orticello, quello che potete coltivare solo voi, quello su cui avete diritto di prelazione perché ci siete arrivati prima degli altri. Qui non si tratta di corsa all’oro, ma l’oro sta nella corsa ovvero nel correre in modo diverso, cercare nuove prospettive per guardare situazioni vecchie, abbattere stereotipi e vecchi modi di pensare che il tempo ha trasformato in mostri sacri. Non si tratta di leggere più libri possibili, riempire il vostro testo di citazioni per far sapere che ne sapete o per prendere un voto come durante gli esami, giacché qui non si è ancora dall’altra parte della cattedra. Forse la cattedra c’è solo se la immaginiamo noi e la facciamo vivere metaforicamente accanto alle nostre ricerche.
    Siamo liberi di dire ciò che pensiamo, di creare nuovi percorsi, di osare il non ancora detto, il non ancora ascoltato, che prima di tutto è nostro, ci appartiene e lo doniamo al mondo.

    Siamo in debito con il mondo, vivendo dobbiamo fare la nostra parte, far agire il nostro io e lo possiamo fare anche dandoci l’autorevolezza di esprimere il nostro pensiero senza paura! Non sto esortando a dire qualunque cosa passi per la testa, ma a riflettere con la nostra testa e a non pensare di non essere mai in grado di poter dire qualcosa fino a quando non si sarà assimilato tutto dato che la quantità di pensiero scritto e parlato che circola non è possibile sia tutto letto e compreso! Altrimenti ci condanniamo al silenzio e priviamo il mondo del nostro pensiero e noi stessi della consapevolezza di averne uno!!!

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  • Af-fidarsi

    Una delle situazioni in cui mi ritrovo
    più spesso in questi giorni è il dover salvarmi dalla “polemica a
    tutti i costi”. Sembra che ci debba essere sempre una
    giustificazione per ciò che si dice, si fa, si prova. Come se
    avessimo l’onere della prova su di noi. Come se si dovesse continuare
    a dimostrare di essere nel giusto, di non aver fatto male a nessuno
    intorno a noi. Nel frattempo continuo a fare ricerca. In questo
    periodo mi sto occupando della ricostruzione biografica di una delle
    più importanti psicologhe italiane, Angiola Massucco Costa. Nella
    sua lunga vita, Angiola è stata consigliera comunale a Torino e
    deputata, eletta nelle liste del Partito Comunista. Leggo i verbali
    delle sedute del consiglio comunale alla ricerca dei suoi interventi
    ed è inevitabile raffrontarli con la situazione politica attuale: un
    po’ perché ne siamo costantemente immersi, un po’ perché la vivo su
    me stessa con la nomina in commissione pari opportunità.
    E penso a cosa è cambiato. Si tratta
    solo di ideologie cadute e non sostituite con qualcosa di altrettanto
    forte o è come se si fosse rotto un patto tra chi viene eletta e chi
    si candida?
    Tutto questo ragionare mi ha portato ad
    una parola, ad un’azione simbolica che dovrebbe essere la regola del
    genere umano e che invece viene meno: affidamento. Questo termine
    fonda anche la relazione tra donne, l’elaborazione politica del
    femminismo italiano. Il termine ricostruito nel simbolico positivo
    che possiede può aiutarci anche a migliorare i rapporti tra noi e a
    ridare un senso alla rappresentanza e all’azione politica.
    Nell’introduzione al libro “Non
    credere di avere dei diritti”, le autrici appartenenti alla
    Libreria delle donne di Milano dichiarano che lo scopo del testo è
    “la necessità di dare senso, esaltare, rappresentare in parole e
    immagini il rapporto di una donna con una sua simile”.
    Si tratta di un venire al mondo di
    donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile,
    nonostante il fatto che il rapporto tra donne non abbia una storia. A
    poche donne viene insegnata la necessità di curare specialmente i
    rapporti con altre donne e di considerarli una risorsa insostituibile
    di forza personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale.
    Nelle molte lingue di una cultura
    millenaria non c’erano nomi per significare una simile relazione
    sociale, come nessun’altra relazione fra donne per se stesse.
    Decidono quindi di chiamarlo “affidamento”.
    “Il termine “affidamento” ha in
    sé la radice di parole come fede, fedeltà, fidarsi, confidare. Però
    può non piacere perché rimanda ad un rapporto sociale che il nostro
    diritto prevede fra adulto e bambino. Quel tirarsi indietro davanti a
    una parola in sé bella, solo per l’uso che altri ne fanno, viene
    visto come un sintomo di impotenza davanti al già pensato da altri,
    in questo caso il già pensato circa i rapporti tra bambini e adulti,
    e quello che sarebbe o non sarebbe conveniente all’età adulta di una
    donna”.
    “Avere delle interlocutrici magistrali
    è più importante che avere dei diritti riconosciuti.
    Un’interlocutrice autorevole è necessaria se si vuole articolare la
    propria vita in un progetto di libertà e darsi così ragione del
    proprio essere donna. La mente femminile senza collocazione simbolica
    ha paura. Si trova esposta a fatti imprevedibili, tutto le capita
    dall’esterno nel corpo. Non sono le leggi e neanche i diritti che
    danno a una donna la sicurezza che le manca. L’inviolabilità una
    donna può acquistarla con un’esistenza progettata a partire da sé e
    garantita da una socialità femminile.”
    A partire da queste frasi che sento
    forti dentro di me, che pratico ogni giorno e che mi hanno permesso
    di creare rapporti forti, di riuscire a confliggere senza avere paura
    di perdere il rispetto o l’amicizia delle persone con cui mi
    confronto, mi chiedo perché si continua a porre l’accento sulla lite
    tra donne? Dove è finito il sentimento della sorellanza? Siamo
    sorelle solo di donne con cui condividiamo un orientamento politico –
    o meglio partitico – in questa politica dei partiti che si sta
    mangiando tutto e soprattutto la nostra libertà di espressione?
    Quanto è forte oggi il bisogno di ogni donna di trovare fra sé e il
    mondo una mediazione fedele in un’altra simile? Quanto il guadagno di
    ogni diventa per se stessa, diventa guadagno per tutte invece di
    generare invidia?
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