• un’iniezione di autostima

    Oggi ho avuto una profonda illuminazione e consapevolezza su di me e sul mio lavoro e voglio condividerla prima che sia sommersa da altri pensieri e da altre parole.
    In questo periodo sto portando avanti una ricerca che cerca di mediare tra archivi audiovisivi tout court, archivi di enti e associazioni che non sanno da che parte girarsi per il trattamento degli audiovisivi e percorsi di genere che pare siano portati avanti solo dalle femministe o aspiranti tali (lasciamo perdere la polemica #ho bisogno del femminismo perché, #non ho bisogno del femminismo perché).
    Da brava ricercatrice e anche perché tra poco tutte le biblioteche e gli archivi chiudono per ferie e io sono maledettamente in ritardo, ho passato tutta la giornata (piovosa) a consultare libri che parlano di archivi audiovisivi.

    Scopro di certo l’acqua calda se affermo che ogni libro ha un corredo bibliografico che apre ad altre diecimila possibili vie e che ogni ricerca è potenzialmente infinita.

    Infatti non voglio scrivere questo, ma capovolgere o almeno tentare di capovolgere la paura con cui di solito si scrivono libri e la conseguente ricerca dell’argomento limitato e specialistico su cui nessuno ha scritto mai (pena tuttavia la paura dell’esclusione dal circolo degli intellettuali) o semplicemente specialistico in modo da limitare i danni perché tanto nessuno ne sa (e qui corre un piccolo accenno a Umberto Eco e al suo libro su come si scrive una tesi di laurea).

    Ciò che voglio dire è questo: non cercate il vostro orticello, quello che potete coltivare solo voi, quello su cui avete diritto di prelazione perché ci siete arrivati prima degli altri. Qui non si tratta di corsa all’oro, ma l’oro sta nella corsa ovvero nel correre in modo diverso, cercare nuove prospettive per guardare situazioni vecchie, abbattere stereotipi e vecchi modi di pensare che il tempo ha trasformato in mostri sacri. Non si tratta di leggere più libri possibili, riempire il vostro testo di citazioni per far sapere che ne sapete o per prendere un voto come durante gli esami, giacché qui non si è ancora dall’altra parte della cattedra. Forse la cattedra c’è solo se la immaginiamo noi e la facciamo vivere metaforicamente accanto alle nostre ricerche.
    Siamo liberi di dire ciò che pensiamo, di creare nuovi percorsi, di osare il non ancora detto, il non ancora ascoltato, che prima di tutto è nostro, ci appartiene e lo doniamo al mondo.

    Siamo in debito con il mondo, vivendo dobbiamo fare la nostra parte, far agire il nostro io e lo possiamo fare anche dandoci l’autorevolezza di esprimere il nostro pensiero senza paura! Non sto esortando a dire qualunque cosa passi per la testa, ma a riflettere con la nostra testa e a non pensare di non essere mai in grado di poter dire qualcosa fino a quando non si sarà assimilato tutto dato che la quantità di pensiero scritto e parlato che circola non è possibile sia tutto letto e compreso! Altrimenti ci condanniamo al silenzio e priviamo il mondo del nostro pensiero e noi stessi della consapevolezza di averne uno!!!

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  • Manifesto per la soppressione dei partiti politici – Simone Weil

    Qualche settimana fa al Salone del Libro di Torino mi sono imbattuta nel catalogo di una casa editrice che preannunciava la ristampa del MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE
    DEI PARTITI POLITICI di Simone WEIL (testo
    pubblicato per la prima volta nel numero 26 della rivista francese “La Table
    Ronde” del 1950). È stata una folgorazione. Ho trovato quel breve testo in
    internet e ho pensato di metterne qualche assaggio perché può essere un’utile lente per
    leggere la nostra situazione attuale… e per capire come dagli anni Trenta del
    Novecento a oggi, il sistema dei partiti politici abbia invaso tutta la nostra
    società riducendo drasticamente la nostra capacità di pensiero e di conseguenza la nostra azione.

    Voglio condividere con voi qualche passaggio di questo scritto per la sua allarmante attualità e per la grazia con cui Simone spiega l’effetto che i partiti politici hanno sulla nostra società e su di noi.

    Secondo la Weil il totalitarismo è il peccato originale dei
    partiti. I partiti nel continente europeo sono nati come eredità del Terrore
    (il club dei giacobini francesi in precedenza era un luogo di libera discussione) e dall’influenza
    dell’esempio inglese (dove tuttavia è presente un elemento di gioco e di sport aristocratico
    che noi continentali non possediamo). 



    Scrive Simone “Il fatto che i partiti oggi esistano non e’
    in alcun modo un motivo per conservarli. soltanto il bene e’ un motivo
    legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La
    questione da esaminare e’ se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul
    male e renda cosi’ la loro esistenza desiderabile.”

    Per Simone i caratteri essenziali di un partito politico sono tre:
    – è una macchina per fabbricare passione collettiva (quindi un impulso al crimine e alla menzogna – come diceva Rousseau)
    – è un’organizzazione costruita in modo
    da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri
    umani che ne fanno parte
    – il fine primo, e in ultima analisi, l’unico fine di
    qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite

    Per
    via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e
    nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli
    che lo circondano non lo sono di meno. Inoltre è vago rispetto alla sua dottrina poiché la dottrina non è una merce collettiva. I
    l partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato d’impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del paese, le necessità internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti. Diventa inevitabile che il partito sia esso stesso stesso il proprio fine. E così la
    tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una
    nazione, ma relativamente al globo terrestre. Poiché 
    la
    concezione del bene pubblico propria all’uno o l’altro partito è una finzione,
    una cosa vuota, irreale, che essa impone la ricerca della potenza totale.
     E’ per questo che c’è affinità, alleanza, tra il
    totalitarismo e la menzogna. 

    La crescita del partito diventa l’unico desiderio: se quest’anno ci sono tre membri in più dell’anno scorso, o
    se l’autofinanziamento ha permesso di raccogliere cento franchi in più, si è contenti. Mai si potrebbe concepire che il loro partito possa avere in
    alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro. La crescita materiale del partito diviene l’unico criterio
    rispetto al quale si definiscono in ogni caso il bene e il male. Esattamente
    come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’universo fosse stato
    creato per farlo ingrassare.

    Nel momento in cui la crescita del partito costituisce un
    criterio del bene, ne consegue inevitabilmente una pressione collettiva del
    partito sui pensieri degli uomini. Questa pressione, in effetti, esiste. Viene
    mostrata pubblicamente. E’ ammessa, proclamata. Questo fatto ci farebbe orrore
    se l’abitudine non ci avesse talmente induriti. I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente
    costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e
    della giustizia. La pressione collettiva è esercitata attraverso la propaganda, la persuasione, non la comunicazione della luce. I partiti parlano, è vero, di educazione nei confronti di
    quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa
    parola è una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare
    l’influenza ben più rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi
    membri.

    Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad
    essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a
    null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E’
    allora, di fronte a esso, in stato di menzogna. Questa situazione non può essere accettata che a
    causa della necessità, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte
    efficacemente agli affari pubblici. 
    Se mi appresto a dire, in nome del mio partito, cose che
    stimo contrarie alla verità e alla giustizia, lo indicherò con un avvertimento
    preliminare? Se non lo faccio, mento. Se
    l’appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna,
    l’esistenza dei partiti è assolutamente, incondizionatamente, un male.

    Ma allora questa necessità è un male, e
    bisogna mettervi fine sopprimendo i partiti.

    E’
    impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica
    prestando attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verità, la
    giustizia, il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si
    conviene a un certo membro di un raggruppamento. N
    essuna sofferenza attende chi abbandona la giustizia e la
    verità, mentre il sistema dei partiti comporta le pene più severe
    per l’indocilità. Penalità
    che toccano quasi tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore,
    talvolta addirittura la vita di famiglia.

    Quando
    in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose
    tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici
    senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. I
    n questo caso chi entra a far parte di un partito sarà preso da preoccupazioni che escludono
    quella per il bene pubblico. I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del
    quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica un’attenzione
    allo sforzo di discernere negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la
    verità. Ne risulta che – eccezion fatta per un piccolo numero di
    coincidenze fortuite – vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al
    bene pubblico, alla giustizia e alla verità.

    Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? E’
    sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate (e questo meccanismo è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia). Il movente del pensiero non è più il desiderio
    incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un
    insegnamento prestabilito.
    La nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno
    dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.
    L’influenza dei partiti ha contaminato l’intera vita mentale della nostra
    epoca. E Simone scrive negli anni Trenta!!! Figuriamoci fosse viva oggi cosa direbbe… Chi
     che aderisce a un partito ha verosimilmente visto
    nell’azione e nella propaganda di quel partito cose che gli sono parse giuste e
    buone. Ma non ha mai studiato la posizione del partito relativamente a tutti i
    problemi della vita pubblica. Entrando a far parte del partito, accetta
    posizioni che ignora. Sottomette così il suo pensiero all’autorità del partito.
    Quando, poco a poco, conoscerà le posizioni che oggi ignora, le accetterà senza esaminarle.


    Entrare in un partito significa adottarne docilmente la disposizione d’animo. E’ una posizione così confortevole! Perché equivale a non pensare! 

    La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra
    proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal
    punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo
    stato puro. E’ perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre,
    a livello pratico, che effetti positivi.

    Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di
    risanamento ben al di là degli affari pubblici. Perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano
    lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero,
    a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun
    ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando
    argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino. E’ esattamente la
    trasposizione dell’adesione a un partito.

    Come, nei partiti politici, esistono democratici che
    ammettono diversi partiti, allo stesso modo nell’ambito delle opinioni le
    persone di ampie vedute riconoscono un valore alle opinioni con le quali si
    dicono in disaccordo. Significa aver perso completamente il senso stesso del
    vero e del falso. Altri, una volta presa posizione per un’opinione, non
    accettano di esaminare nulla che le sia contrario. E’ la trasposizione dello
    spirito totalitario. Quasi dappertutto l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro
    o contro, si è sostituita all’operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti
    politici e si è espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalità del
    pensiero.

    Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra che
    ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.






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