• Dove stanno andando a finire i diritti umani?

    Oggi si celebra il solstizio di inverno.
    Un momento magico perché dopo il periodo di buio la luce torna a crescere nelle nostre giornate.

    E io voglio celebrarla con due notizie che mi hanno colpita molto questa mattina.

    La prima è la sentenza della Corte Costituzionale nella quale la Corte si esprime a favore dei diritti umani e contro il pareggio di bilancio. Ossia il diritto di alcuni disabili a vedersi erogato un servizio di trasporto, tagliato per “ragioni di bilancio” dalla Regione Abruzzo.

    Come è possibile che il diritto di queste persone sia messo in secondo piano da un pareggio di bilancio? Ma soprattutto come è possibile che non si veda in questo servizio qualcosa di più che un semplice costo?

    La seconda notizia si riferisce all'(ennesimo) articolo che traccia una condizione dei lavoratori e delle lavoratrici della logistica in Italia. Dopo H&M ecco l’inchiesta su Amazon. Mi viene in mente il meraviglioso lavoro di ricerca sul campo che Simone Weil fece negli anni Trenta quando decise di andare a lavorare alla catena di montaggio della Renault. Potete leggere il suo resoconto (comprensivo non solo del lavoro svolto ma anche delle emozioni legate al lavoro, agli orari, alla catena di montaggio) nel libro La condizione operaia.

    Ora mi chiedo possiamo noi intervenire in qualche modo per cambiare questa perdita di orientamento sul valore e la difesa dei diritti umani? Sì certo possiamo sempre fare qualcosa anche se ci sembra che i massimi sistemi siano altrove, che le decisioni le possiamo solo subire. Mi viene in mente ciò che fecero nel 1915 alcune donne tra cui il premio Nobel per la Pace 1931 Jane Addams con la loro marcia a favore della fine della Prima Guerra Mondiale. E dico sì possiamo fare, anche se sembra poco o ininfluente. Possiamo sempre scegliere di agire per il bene e per la pace.

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  • Ciò che è nostro per destinazione (o del non perdere tempo inutilmente)

    Gli ultimi giorni parigini li ho passati a letto, tra influenza e ciclo mestruale. Una bella depurazione. 

    Evitato ogni contatto con l’esterno, tranne per i commenti letti e fatti su Facebook. 
    E ho pensato. Molto. 
    E devo ringraziare, come sempre alcune mie amiche. 
    Una scrive: “Seguo talmente tante cose, lavori, progetti, che mi scoppia la testaaaaaahhhh”
    Un’altra impiega il suo tempo in varie associazioni e progetti tutti interessantissimi e socialmente utili. E la preparazione di un esame universitario viene fatta ritagliandosi del tempo tra un’attività e l’altra. 
    E ieri esce il call for paper per un convegno che mi interessa molto e che si terrà a settembre 2015 negli Stati Uniti. Inutile dire che aspettavo di sapere solo la deadline per scrivere l’abstract e incrociare le dita. Invece ci sono rimasta malissimo perché sul tema del convegno “Women, Labor, and Working-Class Cultures” non so proprio niente. O meglio di questo tema intersecato con il cinema muto italiano non so proprio niente. E così sono partite diecimila connessioni mentali al secondo per capire cosa poter proporre anche in base al tempo a disposizione, al fare una ricerca degna di chiamarsi tale e alle varie sottocategorie proposte. 
    Poi a metà serata l’illuminazione. L’anno scorso grazie allo stesso convegno ero stata in Australia e avevo trovato il mio scopo, il tema della ricerca mio per destinazione come scriveva Simone Weil, e so bene che tipo di energia mi aveva accompagnato. Quindi la conclusione è che presenterò un abstract su un progetto intorno al quale voglio davvero lavorare perché non ha senso imbarcarsi in operazioni di facciata. Il nostro lavoro ha valore anche per ciò che muoviamo con esso. E la qualità del nostro lavoro dipende anche dall’energia che ci mettiamo dentro.  
    Basta seguire progetti inutili per me, basta seguire persone che non mi danno buona energia solo perché questa è l’era della comunicazione e non possiamo non sapere. In tutta questa rin-corsa alle notizie rischiamo di perderci e comunque di perdere buona parte delle nostre energie che invece devono essere messe in ciò in cui crediamo davvero. E se per questo non verrò scelta, pazienza, rimanere fedeli a se stesse è la più grande partecipazione che posso mettere in atto.    
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  • Della Lontananza (o della Lucidità)

    E’ ormai una settimana che sono a Parigi.
    Ed è tempo già di bilanci (ah quanto amo la mia mente di ragioniera…)

    Scherzi a parte, è importante tener traccia delle consapevolezze che man mano arrivano altrimenti poi le si perde che come diceva Vasco Rossi in Una canzone per te Ma le canzoni son come i fiori, nascon da sole e sono come i sogni e a noi non resta che scriverle in fretta, perché poi svaniscono e non si ricordano più“.
    Ciò che ho capito in questa settimana che poco è stata dedicata al lavoro al tavolino e molto alla ricerca *sul campo* accompagnando i miei genitori in giro per Parigi è tra i bisogni fondamentali delle persone c’è il viaggiare! Non voglio fare un elenco dei benefici del viaggio, che non deve essere una vacanza a cinque stelle in un villaggio anonimo o in un hotel di lusso ma un lasciarsi andare al Vagabonding, ma porre il problema del viaggio inteso a livello politico, risorsa dell’organizzazione mondiale della sanità o più semplicemente del sistema sanitario nazionale per guarire dallo stress o dal male di vivere, dall’apatia e dall’abbruttimento generale delle persone e tra le persone.
    Voglio intendere il viaggio, l’allontanarsi dal tram tram quotidiano come un medicamento necessario che spinga a muovere risorse – monetarie e non – per creare la possibilità affinché tutte le persone possano godere di questa medicina senza controindicazioni. Anzi, penso che potrebbe avere molti effetti positivi:

    1. Più consapevolezza del mondo che abitiamo (delle persone che lo abitano, delle culture, degli animali e delle piante)

    2. Meno attaccamento al nostro modi di vivere percepito come naturale. Riconoscimento del fatto che è una costruzione culturale e come tale può essere cambiato

    3. Meno attaccamento a ciò che possediamo o meglio crediamo di possedere (oggetti, persone, credenze)

     

    4. Aumento della curiosità e della voglia di viaggiare per conoscere ciò che è differente da noi

    5. Risparmio su spese come l’esercito e tutte le forze armate, inutili in un mondo che è percepito come uno e non divisibile in stati nazionali

    6. Riduzione dello stress, dell’apatia, della tristezza e della rabbia

    7. Aumento della solidarietà tra le persone, della voglia di migliorare il mondo che abitiamo

    8. Aumento della lucidità su ciò che stiamo vivendo, capacità di staccarsene se non ci appartiene più, coraggio di prendere scelte che cambiano la nostra vita

    9. Diminuzione delle spese sanitarie e degli ospedali, delle medicine e dei coaching

    Mi sono limitata a indicare qualche possibile conseguenza poi ognuno vedrà gli effetti su di sé. Perché non bisogna aspettare che ci sia la società migliore, i governanti migliori, la situazione economica migliore per poter fare tutto ciò. Dobbiamo crearci le nostre possibilità e andare, provare, tentare, realizzare i nostri sogni. L’universo ci sostiene. Ma dobbiamo essere noi i primi e le prime a crederci altrimenti chi crederà in noi e nei nostri sogni?

    Nel favoloso libro La prima radice Simone Weil parla di bisogni irrinunciabili per ogni uomo e ogni donna tra cui la bellezza proponendo gite aziendali. Ecco io sono più a favore di politiche del genere che di un reddito di cittadinanza che si configura come “dare dei soldi” e basta, non investendo sul benessere psicofisico delle persone e della società in generale. 

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  • Attenzione

    Siamo quasi a Natale. La religione cattolica ci insegna che questo è un periodo di attesa.
    Il consumismo che tutto il tempo a disposizione lo dobbiamo dedicare ai regali.
    Entrambi (religione cattolica e consumismo) chiedono la nostra attenzione.

    Così mi sono tornare alla mente alcune frasi lette in uno dei libri più preziosi che conosca, Gli imperdonabili di Cristina Campo.

    ” L’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero. Infatti è solidamente ancorata al reale, e soltanto per allusioni celate nel reale si manifesta il mistero.

    Davanti alla realtà l’immaginazione indietreggia. L’attenzione la penetra invece, direttamente come simbolo. Essa è dunque, alla fine, la forma più legittima, assoluta d’immaginazione.

    Come il gigante dalla bottiglia, dall’immagine l’attenzione libera l’idea, poi di nuovo raccoglie l’idea dentro l’immagine.

    Souffrir pour quelque chose c’est lui avoir accordé une attention extreme. E avere accordato a qualcosa un’attenzione estrema è avere accettato di soffrirla fino alla fine, e non soltanto di soffrirla ma di soffrire per essa, di porsi come uno schermo tra essa e tutto quanto può minacciarla, in noi e al di fuori di noi. E avere assunto sopra se stessi il peso di quelle oscure, incessanti minacce, che sono la condizione stessa della gioia.

    Qui l’attenzione raggiunge forse la sua più pura forma, il suo nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o qualcuno, che nutre in misura uguale la poesia, l’intesa fra gli esseri, l’opposizione al male. Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.

    Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma.

    E’ chiedergli qualcosa molto prossimo alla santità in un tempo che sembra perseguire soltanto, con cieca furia e agghiacciante successo, il divorzio totale della mente umana dalla propria facoltà di attenzione”.

    Se tutti gli errori che facciamo sono dovuti alla disattenzione, facciamo meno cose, facciamole meglio. Questo è uno dei miei propositi per il 2014 !!!   

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  • Sradicamento

    Ho appena finito una riunione piuttosto pesante dal punto di vista emotivo.
    Mi ripeto sempre che devo mettere da parte il mio senso di giustizia a volte, ma è troppo difficile. E così, per dare il giusto spazio anche a questa esigenza (e anche un po’ per sfogo) mi rifugio nelle parole di Simone Weil a proposito di soldi e salario

    Esiste una condizione sociale – il salariato – completamente e perpetuamente legata al danaro, soprattutto da quando il salario a cottimo costringe ogni operaio ad essere sempre teso mentalmene alla busta paga.

    Il secondo fattore di sradicamente è l’istruzione quale è concepita al giorno d’oggi.

    Quello che oggi vien detto “istruire le masse” significa prendere questa cultura moderna, elaborata in un ambiente così chiuso, così guasto, così indifferente alla verità, toglierne tutto quel poco che per avventura potesse ancora contenere (operazione questa che viene chiamata volgarizzazione) e far penetrare pari pari quel che residua entro la memoria degli sciagurati desiderosi di apprendere, come si dà il becchime agli uccelli.

    Sul giovane scolaro gli esami hanno il medesimo potere ossessivo che ha il danaro sull’operaio che lavora a cottimo. Un sistema sociale è profondamente tarato quando un contadino lavora la terra pensando che, se fa il contadino, lo fa perché non era abbastanza intelligente per diventare maestro.

    Lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola. Le persone realmente sradicate non hanno che due comportamenti possibili: o cadere in un’inerzia dell’anima quasi pari alla morte (come la maggior parte degli schiavi dell’impero romano) o gettarsi in un’attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi coloro che non lo sono ancora o che lo sono solo in parte.

    Chi è sradicato sradica. Chi è radicato non sradica.

    [da La prima radice]

    Grazie Simone per la tua lucidità! Ce ne fosse ancora anche oggi intorno a noi …
        

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